Incontri

18 03 2011

E’ da più di un anno che non scrivo su questo taccuino virtuale. E ora mi sembra di aver perso l’abitudine, mi sento quasi impacciato.

In questo post volevo fare una riflessione su cosa sono gli incontri.

Possiamo definire “incontro” un’ occasione in cui due persone si conoscono e vengono in contatto l’una con l’altra. Fin qui nessuno dovrebbe obiettare.

Facciamo allora un altro passo: perchè avvengono gli incontri? Tutti sappiamo che l’uomo è un “animale sociale”, quindi risiede nella natura intrinseca dell’uomo entrare in contatto con gli altri, è scritto nel suo DNA, è sempre stato così e sempre lo sarà.

La cosa che però più mi colpisce quando due persone si incontrano è il fatto che 1+1>2. Cioè, il totale è maggiore della somma delle parti. Abbiamo moltissimi esempi, per citarne qualcuno, nel campo della scienza e della ricerca, in cui grandi scoperte sono state condotte da equipe di due o più persone, raramente da singoli scienziati.  Questa mi sembra una cosa affascinante, il fatto che l’incontro faccia crescere le persone che lo provano.

Ho appena usato il termine “provano”: non è stata una svista. Infatti, secondo me, un incontro si vive bene solo se si “prova”, solo se lo si sente proprio, non quando si “fa”, ma quando si vive. La “legge” dell’ 1+1>2 è vera solo se noi lo viviamo l’incontro, non quando ci lasciamo attraversare passivamente da esso.

Credo che vivere un incontro sia tra le cose più difficili da fare: spesso la nostra vita e i nostri innumerevoli impegni hanno il sopravvento su noi stessi e quasi ci “spersonalizzano”, e in queste condizioni è impensabile solamente il concepire l’idea di vivere appieno un incontro. Infatti le persone devono trovarsi in uno “stato ricettivo”, devono essere predisposte a creare dei legami con l’altro. Non è detto poi che questo accada (le antipatie sono sempre esistite e sempre esisteranno), però non si deve prevaricare a priori la possibilità di conoscenza dell’altro. In fondo, “anche il condannato a morte ha diritto all’ultima sigaretta”.

Tutti questi pensieri sono venuti fuori dopo l’incontro con una persona conosciuta molto recentemente. Infatti, parlandoci un po’ insieme di tizio e di caio, è venuta fuori questa frase:

“Io do qualcosa a te, Tu dai qualcosa a me: scambio alla pari! (che, si spera, ci elevi un pochino entrambi)”

Ecco, la parte più importante è quella tra parentesi: l’incontro con una persona “nuova” ha la possibilità di elevarci, basta saper ascoltare scendendo dal banco del giudice ,che troppo spesso ci appartiene, e mescolandosi alla folla nella strada.

1+1>2

Dedico queste righe a questa persona “nuova”, il cui incontro mi ha spinto a ritornare, dopo tanto tempo, a scrivere su questo blog e mi ha stimolato tutti questi pensieri.





Una storia qualunque: l’epilogo della storia.

24 09 2009

Come tutte le mattine si svegliò. Il caldo estivo stava cedendo spazio al clima autunnale, anche se a volte tornava, forse con un po’ di nostalgia, a fargli compagnia. Forse lo faceva per sentirsi meno solo…
Si svegliò, e la mattutina routine si avviò in automatico: sempre le stesse cose, sempre agli stessi orari…
Ma quella mattina accadde qualcosa di diverso: non una cosa importante, ma ai suoi occhi non passò certo inosservata.
Aveva sul comodino, come aveva sempre avuto, una pila di libri che erano divenuti i suoi fedeli alleati nella lotta contro l’ insonnia. Ce ne erano alcuni che a volte prendeva e poi, dopo averli letti, rimetteva a posto, altri che rimanevano sempre lì a fargli compagnia. Il suo sguardo si era quindi abituato alla vista di quei “libri perenni” e spesso non ci faceva più caso.
Non quella mattina. Quella mattina di inizio autunno fu diverso.
I suoi occhi si posarono sulla copertina di un libro coperto da altri che lasciava solo scorgere il nome dell’ autore, Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Gli passò per la mente un Flash. In un attimo, forse una frazione di secondo, gli balenò fra i suoi ricordi tutto quel vissuto estivo che credeva abbandonato nell’ oblio dei tempi.
Si ricordò infatti una frase di quel libro (libro che aveva odiato sin dai tempi della seconda media!) “se vogliamo che tutto rimanga com’ è, bisogna che tutto cambi”.
Illuminazione!
Non trovò frase più adatta per descrivere quel lungo e tortuoso travaglio che aveva vissuto e che era cominciato quella notte.
Erano successe tante cose che lo avevano scosso, turbato, fatto riflettere, anche piegato e messo con le spalle al muro… ma ora? Ora tutto ha ripreso a scorrere con il suo corso normale: gli avvenimenti avvenuti certo non possono essere cancellati, tutt’ altro. Ma la vita continua comunque, come sempre. Tutto era cambiato, e tutto era rimasto com’ era.
Sorrise, e un brivido leggerissimo gli attraversò la schiena. Era tanto che non sorrideva… e quella sensazione ritrovata quasi lo emozionò.
Immediatamente la routine mattutina innescò il suo corso, però con questa consapevolezza… si sentiva quasi sereno…
La sua vita continuò a scorrere, come sempre, e non cessò mai di stupirlo ed incantarlo.

“…e il naufragar m’è dolce in questo mare.”





Una storia qualunque (un po’ di tempo dopo)

24 08 2009

Era passato molto tempo da quella notte: no, non anni, però erano successe varie cose che avevano fatto sì che il suo tempo interiore scorresse quasi alla velocità della luce. Tanti, tanti avvenimenti, tante emozioni che l’avevano fatto pensare molto. Un giorno, improvvisamente, si ricordò di quella notte e di tutte le riflessioni che le avevano fatto da leitmotiv, e anche di quell’espressione, “Vera Felicità”. Gli venne in mente quella promessa che aveva fatto a se stesso (di impegnarsi nella sua ricerca), e si rese conto che ci aveva provato davvero, lui, ci aveva creduto, e aveva pensato addirittura di avercela fatta: in un momento si era addirittura sentito “felice”, credendo di averla trovata realmente la “Vera Felicità”.

Ma come fu momentaneo il ritrovamento, fu momentanea la perdita.

Si era illuso. Aveva semplicemente mentito a se stesso. Una bugia buona, s’intende, certo non voleva autolesionisticamente farsi del male, no. Il fatto è che si è sentito arrivato troppo precocemente, dando per scontate molte cose, immaginado e volando troppo con la mente.

Anche questo aveva provveduto ad aumentare il suo livello di stress. Come ho già detto, non era per lui unbel periodo tranquillo, tutt’ altro. Però credeva di rimanerci peggio rispetto a come era andato realmente tutto il decorso della sua ricerca della Felicità. In fondo erano bastati pochi giorni per far tornare alla normalità quella che sembrava la più grossa delusione della sua vita. Ora però si sentiva più forte di prima, forse più disilluso…

Comunque quello rimaneva per lui un periodo molto strano che di solito definiva “di transizione”: forse  sarebbero cambiate molte cose di lì a poco, diciamo che credeva di cambiar vita, ma questa è un’altra storia…

Ora non sapeva cosa aspettarsi dalla sua vita, e decise di giocarsela giorno per giorno senza fare grandi progetti o porsi troppi problemi esistenziali.

Un’ idea però perseverava a rimanere nella sua mente, quella della “Vera felicità”: quest’ espressione ora stava assumendo un carattere molto più terreno e momentaneo rispetto a quello che aveva teorizzato tempo prima, e anch’ esso andava adattandosi giorno per giorno.

Ma forse aveva rivisto la luce: non era come tempo addietro, era più come un’ altalenante fiammella di una candela, a volte spariva ma poi tornava. Ma comunque decise di non focalizzarsi troppo su quella fonte luminosa e calorifera, forse perchè aveva paura di spengerla se si avvicinava troppo. Per ora si accontentava di rimanere alla debita distanza, nè troppo vicino nè troppo lontano, aspettando e vedendo cosa sarebbe successo.

Provò a fare un piccolo esame di coscienza della sua vita in quel momento, ma non riuscì a tirarne fuori nulla di nuovo rispetto a quello che già constatava ormai da un po’, che cioè si trovava nel periodo più strano della sua vita e che non riusciva a capire cosa stava succedendo fuori (ma soprattutto dentro) di sè.
“Sarà un periodo”, pensò, “passerà…”
Si addormentò anche quella sera, come tutte le altre sere. I suoi occhi si chiusero ma, come sempre, non si addormentò subito, pur essendo molto stanco.
Si addormentò anche quella sera, con l’ immensa voglia di andare a cercare la “vera felicità”.
Si addormentò, come sempre.




Una storia qualunque

6 07 2009

Rientrò tardi a casa, quella notte.

Spense il computer rimasto acceso (come sempre accadeva) dal pomeriggio, si cambiò e si buttò, sfinito, sul letto. La testa gli girava un po’, aveva bevuto, quella sera. Tutto sommato stava bene, anche se gli erano serviti tre tentativi prima di riuscire ad infilare la chiave nella serratura… non era l’alcol che l’aveva fatto ubriacare, quella sera…

Andò a letto ma non si addormentò subito, pur essendo stanchissimo. Rimase lì, sdraiato, immobile, sembrava quasi una salma se qualcuno non avesse notato che stava ancora respirando. Aveva spento la luce, era tutto buio intorno a lui apparte quella flebile lucina verde proveniente dalle casse del pc che si era scordato di spengere (come sempre).

Era buio e lui aveva gli occhi aperti, spalancati a guardare il soffitto della sua camera che ora appariva scuro. Ma non era lì che guardava realmente. Avrebbe potuto esserci qualunque cosa davanti ai suoi occhi in quel momento ma lui non l’avrebbe vista, non stava guardando con la vista…

Era come un’ estasi, ma non di quelle cose metafisiche che nessuno ancora riesce a spiegarsi, no… la sua era un’ estasi del tutto terrena legata al ricordo, ricordo terreno di esperienze vissute…

Ricordo di esperienze vissute… forse banali, ma che la brezza del ricordo riesce a sublimare con il suo placato vorticoso sospiro.

Si addormentò tardi, quella notte, e anch’ ora non saprebbe dire se ha dormito e riposato veramente o no. Ma di una cosa è sicuro: quella notte ha sognato. Fu un sogno strano, quello: consisteva nella prosecuzione della serata appena trascorsa, con le solite facce, le solite persone, le solite voci, addirittura gli stessi odori. Poi sognò di andare a casa, ma non solo: si immaginò di seguire (non come corpo fisico, ma solo con la vista) anche tutti gli altri nel loro ritorno. Cercava di cogliere tutto e di non lasciarsi sfuggire niente. Seguì proprio quella persona, cercando di rubare la sua anima e di farla propria, non per egoismo, tutt’ altro: era consapevole dell’ unicità delle persone, ma finora gli era capitato pochissime volte di rendersene veramente conto… questa era una di quelle volte. E questa cosa lo aveva atterrato, ma in positivo. Aveva visto uno spiraglio, come un fascio di luce che filtra nella cupa foresta ed illumina un solo punto… ecco, quella sera si sentiva “illuminato” da quella persona, proprio da quella (e ne aveva incontrate di persone, lui…).

Fu l’ ebbrezza di una notte illuminata, estatica… era ubriaco di felicità…

“Finalmente” pensò, “uno spiraglio di luce in questo mare di tenebra. Sono stato felice stasera? Direi di si. Voglio perseguire la felicità, e oggi ho scoperto dove stà. La devo cercare, devo… così potrò trovare la Vera Felicità? Non lo so”. Gli venne i mente la scommessa di Pascal, allora disse (nel cuore della notte) “Tantovale provare!”.

Finalmente si addormentò. Era felice. Era tanto che non gli capitare di provare quella sensazione la sera prima di addormentarsi. Quella sera sì. Era felice.

Si addormentò, e promise a se stesso che il giorno seguente sarebbe dovuto andare a cercare quella Felicità.

Quella notte, si addormentò felice. Finalmente.





Metafora

7 06 2009

Avete presente una quercia?

Oppure un cipresso, un tiglio, un salice… un albero, insomma?

Prendiamo una quercia.

Le querce sono alberi che possono giungere ad avere dimensioni grandissime. Ora guardiamo una quercia ed ammiriamone il suo imponente aspetto. Noi possiamo vedere solo il tronco, i rami e le foglie, senzaneanche minimamente considerare l’assurdo intreccio delle radici nel sottosuolo.

Immaginiamo ora di poter prendere questa nosta quercia per i rami e di sradicarla: solo ora possiamo ammirare la gigantesca ragnatela che queste radici tessono nel sottosuolo, tanto che se andiamo a misurarla ci accorgiamo che è estesa quanto le parti in supergficie. Quindi possiamo fare la considerazione che, in effetti, un così grande albero non ce l’avrebbe mai fatta a sorreggersi da solo senza delle fondamenta così solide.

Poi, però, possiamo chiederci: ” Quest’ albero che io vedo qui davanti a me è sempre stato così o è il risultato di una certa evoluzione?”

Ci vengono allora messe davanti, accanto all’albero che abbiamo (metaforicamente) sradicato, due cose: un seme (grande, per intendersi, come il nocciolo di una ciliegia) ed un uomo. Tutti abrebbero pensato alsolo seme perchè, come ci insega la canzoncina, “[…] per fare l’albero ci vuole il seme […]”.

E invece no, non è così!

Il seme, da solo, non basta. E’ necessaria anche l’ infinita dedizione dell’ agricoltoreche, armato di acqua, concime, pazienza ed amore, faccia germogliare e crescere il seme affinchè diventi un solido albero. Questo processo è molto faicoso, ma non per questo l’uomo lo abbandona: crede immensamente in ciò che sta facendo, e niente al mondo potrà distoglierlo da ciò. Lentamente, allora, cede anche il seme, cessando di essere tale e trasformandosi, con sovrumano sforzo, in in qualcos’ altro, qualcosa di inizialmente fragile che poi diventerà forte e grande.

Sono in due a volerlo, questo sviluppo: il seme e l’uomo. L’uomo non lo abbandonerà mai quel seme, il suo seme, e il seme, da parte sua, crescerà sia in alto sia in profondità.

E’ passato ormai molto tempo, la quercia si è sviluppata ed è diventata grandissima, come quella di cui discutevamo all’inizio. L’uomo ora è soddisfatto, ammira la parte superficiale, ma è ben conscio anche di ciò che c’è in profondità, anche senza il busogno di sradicarla. I loro sforzi (dell’uomo e del seme) sono stati appagati ed ora sono felici. Così la quercia può continuare a crescere e fortificarsi, perchè sa che avrà sempre accanto l’ uomo che ha creduto in lei.

Immaginiamo ora che questa grandissima quercia cada.

Sì, cada al suolo producendo un rumore assordante,  si frantumi, si sgretoli su se stessa. E proviamo ad immaginare l’espressione dell’uomo mentre tutto ciò accade davanti ai suoi occhi. Egli rimane lì, immobile, paralizzato dalla visione repentina, non riesce neanche a piangere, a fatica qualche lacrima gli solca il volto. Proviamo ad immedesimarci per un attimo in lui, che vade il suo annoso sforzo andare in fumo in poche frazioni di secondo, pensiamo al lacerante dolore che gli provoca quella caduta: è come se gli venissa strappata una parte di se, del suo corpo.

Allora si avvicina e va a prendere (sempre metaforicamente) l’ albero e lo guarda: vede che è ben sviluppato nelle parti superficiali, ma ha pochissimeed atrofiche radici, ed è caduto al suolo proprio perchè le sue fondamenta erano fragili, inadeguate al peso da sorreggere.

Ecco, il seme ha tradito la fiducia dell’ uomo. Lui (l’uomo) ci aveva creduto in quel seme, ci aveva creduto davvero, aveva creduto nella sua forza e nella sua volontà, gli aveva donato tutto se stesso… ma il seme non aveva creduto nell’uomo e lo aveva superficialmente accontentatocon l’apparenza di un bel tronco e bei rami.

L’uomo è stato tradito dal seme. E’ crollato anche lui insieme all’albero ed ha sofferto molto.

Ha sofferto. Molto.

Mai e poi mai farà affidamento su qul seme. Mai più.

Mai.

“Chi ha orecchie per intendere intenda…”





Suggestioni: Chet Baker, chi era costui?

17 05 2009

Non so se avete mai sentito nominare Chet Baker…io, fino a poco tempo fa, no (ringrazio Waalter per avermi acculturato in questo senso).

Chet Baker (1929-1988) era un trombettista statunitense “noto per il suo stile lirico e rilassato e per i suoi contributi al genere conosciuto come cool jazz.” (da Wikipedia).

Ecco, posto qui di seguito un suo brano, molto bello e musicalmente interessante. Di seguito, ho scritto delle suggestioni che ho buttato giù “a caldo” mentre lo stavo ascoltando per la prima volta.

…è quello stile che associo ad un pub d’inizio ‘900 a Londra, molto piccolo e magari ricavato da un seminterrato, con le luci soffuse e l’atmosfera buia, dove le persone sono chine sul loro bicchiere di gin, dove sono presenti sia letterati che stanno leggendo libri sia alcolisti squattrinati e depressi con in mano una vecchia foto piena di ricordi…





Le “regole d’oro” della musica d’insieme

9 05 2009

Ecco, ora presenterò un “vademecum” che ogni musicista che si trova o si è trovato (o , perchè no, si troverà) a suonare insieme ad altri musicisti (dalla piccola formazione di musica da camera alla grande orchestra) conosce perfettamente.

1) Suonate tutti lo stesso pezzo.

2) Fermatevi ad ogni segno di ritornello e discutete animatamente se ripetere o no.

3) Chi stona getti un’ occhiataccia ad uno dei suoi colleghi.

4) Accordate gli strumenti con la massima cura prima di suonare. Quindi, potete stonare per tutto il concerto, ma con la coscienza a posto.

5) Girate le pagine con la dovuta calma, facendo dei clamorosi rallentando.

6) Ricordate che una nota giusta al momento sbagliato è una nota sbagliata (e viceversa).

7) Se credete che tutti si stiano imbrogliando, eccetto voi, allora siete voi a sbagliare.

8 ) Cercate di minimizzare il NNPS (numero di note per secondo), vi guadagnerete l’ammiraqzione degli incompetenti.

9) Le legature, i colori e gli abbellimenti non devono essere rispettati. Sono lì solo per abbellire la partitura.

10) Se un passaggio è difficile rallentate, se facile accellerate. Alla fine, tutto torna.

11) Quando vi siete persi del tutto fermate tutti e dite: “forse dovremmo accordare meglio”.

12) Se per colpa vostra tutti gli altri si sono dovuti fermare, spiegate dettagliatamente le ragioni per le quali avete sbagliato. Anche se non sono vere, destano sempre molto interesse.

13) La vera interpretazione è del tutto personale ed è quella in cui non resta una sola nota dell’ originale.

14) Una nota stonata suonata con timidezza è una nota stonata. Una nota stonata suonata con vigore è interpretazione.

15) Quando tutti gli altri hanno finito di suonare, non continuate ad eseguire le note che vi sono avanzate.

Chi come me fa musica d’insieme (io, in particolare, sono pianista in duo con un flauto ed in trio con un flauto ed un violoncello) sicuramente sarà riuscito a cogliere l’ironia che sta dietro a queste “regole”. Buon proseguimento coi vostri studi!





Il suono del silenzio

25 04 2009

Simon & Garfunkel, “the sound of silence”.

In restless dreams I walked alone,
narrow streets of cobblestone
‘neath the halo of a streetlamp
I turned my collar to the cold and damp
when my eyes were stabbed by the flash of a neon light
split the night… and touched the sound of silence

And in the naked light I saw
ten thousand people maybe more
people talking without speaking
people hearing without listening
people writing songs that voices never shar
e
noone dare, disturb the sound of silence

Fools said I you do not know,
silence like a cancer grows,
hear my words that I might teach you
take my arms that I might reach you
but my words, like silent raindrops fell…
and echoed the will of silence

And the people bowed and prayed,
to the neon god they made
And the sign flashed out its warning
in the words that it was forming
And the sign said, “The words of the prophets
are written on the subway walls, and tenement halls
and whisper the sounds of silence.

Canzone famosissima dalla melodia molto orecchiabile. Tuttavia il testo è a volte trascurato: per questo motivo l’ho inserito qua sopra (in versione originale, ovviamente!).

Ecco ora qualche spunto di riflessione.

Il silenzio: in questa canzone se ne parla molto (ma và!), ma chiediamoci anzitutto: cos’è il silenzio? Tutti noi abbiamo in mente un’ idea generale corrispondente al concetto di “silenzio”, e siamo anche consapevoli di cosa significhi “fare silenzio”. In fondo, è una cosa con la quale abbiamo quotidianamente a che fare. Ma ora io mi chiedo: esiste davvero Il silenzio? Potrebbe sembrare una domanda retorica senza alcun significato. Sofisticamente potrei dire che il silenzio non esiste: poniamo di essere da soli in una stanza chiusa isolata dal mondo circostante. Sicuramente c’è quello che noi appelliamo col sostantivo “silenzio”. Ma già nel momento stesso in cui dico “qui c’è silenzio”, quello è già sparito. Ma anche solo il pensare quella proposizione fa scomparire il silenzio.

Silenzio è dunque il Vuoto.

Vuoto, o meglio, Nichilismo.

Nichilismo, da nihil (lat) che significa nulla. Nichilismo è il Nulla. Nulla, che si contrappone a Tutto. Tutto, che è pienezza.

E’ impossibile, per l’essere umano, concepire il Nulla: da quando siamo nati siamo immersi un un mondo pieno, tridimensionale. Anche se esistesse una stanza come quella di cui parlavo prima, ci sarebbe comunque qualcosa, e se anche fosse vuota, sarebbe delimitata da muri. Quindi, vuoto=infinito.

L’uomo ha paura dell’ infinito. Ha paura perchè sfugge al suo controllo e non potrà mai conoscerlo tutto nella sua interezza. Ma torniamo al silenzio nichilistico.

“people talking without speaking/people hearing without listening/people writing songs that voices never share”: questa è la cosa che mi spaventa di più,  cioè l’impossibilà del poter comunicare fra le persone, una sorta di “impotenza comunicativa”.

“but my words, like silent raindrops fell…/and echoed the will of silence”: parole che scivolano via, che non provocano nè piacere nè disgusto, stanno lì qualche attimo e poi cadono nell ‘oblio. Perole di speranza, di coraggio, di conforto, di compassione (nel senso etimologico del termine), di empatia.

Non voglio stare qui a fare retorica dicendo che l’uomo moderno è un uomo senza più alcun valore ed emotvamente vuoto.

Voglio invece parlare dell’ uomo che è il soggetto di questa canzone: di colui che si prodiga instancabilmente per l’altro, a volte per il mondo intero, portando avanti le proprie idee. Idee, s’intende, che possono essere giuste, sbagliate, condivisibili o meno, ma comunque sono idee nate da una mente pensante.

Immaginiamo, allora, quest’ uomo, “poeta (che dal greco significa creatore) di idee”, che entra in contatto col mondo per cercare di cambiarlo (in meglio, ovviamente). Contatto che potrebbe, dovrebbe trasformarsi in scontro – il nuovo spaventa sempre un po’. Questo scontro invece non avviene: il mondo ignora il “poeta” che è quindi condannato ad un ‘esistenza infelice diventando “comunicativamente impotente”.

Ora, tutte queste considerazioni si possono traslare ai rapporti interpersonali. Infatti, purtroppo (e lo dico con una tristezza infinita), anche i rapporti inerpersonali tendono vorticosamente ad essere sempre più opportunistici e (di conseguenza) sempre meno veri. Senza dubbio civili, tuttavia unicamente formali. Il valore dell’ Amicizia, ad esempio, esiste ancora? E dell’ Amore?

Io non lo so.

Io voglio credere che esistano ancora. Voglio.

“Io non voglio diventare Vuoto, non voglio essere come loro, NO! Io posso, anzi, voglio…ho il dovere di cambiarli…! Non posso ignorare tutto, far finta di niente, diventando come loro, no!”.

La sorte di quest’ uomo è infelice perchè troverà sempre cancelli sbarrati davanti a sè.

Non smetterò mai, dico MAI, di combattere! E’ l’unica cosa per la quale vale la pena vivere, senza questo sarei Il Vuoto, e preferirei morire piuttosto che diventare così.

L’uomo non smetterà mai di credere e di sforzarsi, sa che le sue fatiche saranno ricompensate, sa di essere nel giusto. Anche se forse non riceverà mai la sua ricompensa e vivrà una vita come ingabbiato in una prigione vuota.

“Non smetterò mai di combattere fin quando gli uomini non arriveranno a capire di essere immensamente vuoti…e ciò forse non avverrà mai. Sono destinato per questo all’infelicità? Infelicità dovuta alla comprensione che gli altri sono infelici e non se ne accorgono? Forse si.”

“Continuerò a combattere, te lo giuro, per sempre. Eternamente tuo.”

Firmato:

un “poeta” che non è del tutto convinto di essere “impotente”






Assignment 6: riflessioni sul copyright

16 04 2009

Ho letto dei post (e altri articoli a giro per la rete) in cui gli autori si lamentavano aspramente riservando un grande rancore nei confronti dei diritti d’autore. Io sono in parte d’accordo con queste lamentele, in particolare vi invito a legere questa riflessione su un blog amico. Inoltre, come tutti noi altri studenti di medicina, trovo estremamente limitante il fatto che molti prof. non possano fornire materiale didattico (su cui incentrano le loro spiegazioni) agli studenti.

Ma a criticare e basta son bravi tutti. Ora voglio provare ad entrare un po’ nella mentalità di chi sfrutta il “diritto d’ autore”. Iniziamo ora il gioco del “Facciamo” (cit. Stefano Benni, “La compagnia dei celestini”).

Facciamo che io sia un artista, magari un composiore di musica (anche leggera, fate voi). E facciamo che io abbia appena scritto un nuovo pezzo, non dico una cosa eccellente, ma qualcosa in cui comunque ho messo l’ anima. Facciamo anche che la mia unica fonte di guadagno sia quella del compositore, che cioè non abbia altre fonti di sostentamento cheil mio lavoro di compositore. Facciamo anche che io abbia comprato i diritti per la mia nuova composizione.

Che diritto ha un tizio qualunque di venire ad estirpare una parte di me per poi neache riuscire a comprendere fino in fondo la mia creazione? Ma poi, soprattutto: che diritto ha di “rubare” (parola un po’ retorica riguardo a questa tematica) ciò grazie al quale io riesco a sopravvivere? Voglio dire, io vengo pagato per le mie opere, se tu le prendi senza pagare io non ci guadagno nulla, ma io invece ho diritto di guadagnare per il lavoro che svolgo, al pari di un avvocato e di un muratore. Allora perchè non si va da un avvocato pretendendo che ci scriva un’ arringa se poi al processo la voglio declamare io, e magari spacciare per mia? Fossi l’ avvocato vorrei almeno essere pagato e citato.

Allora perchè un artista non dovrebbe desiderare tutto ciò?

Questo post vuole essere una polemica contro il qualunquismo della massa che spesso non si pone alcuni problemi, rimanendo solo allo strato più superficiale di essi, senza sognarsi minimamente di approfondirli mettendosi in discussione (cosa che solo pochi- fortunati- sono in grado di fare).

Concludo dicendo brevemente che, comunque, i “copyrights” oggigiorno stanno raggiungendo costi eccessivi e quindi non stimolano (mi riferisco principalmente a libri e affini) alla conoscenza e al loro approfondimento. Dopotutto, l’ evoluzione è un processo collettivo che passa attraverso vari rimaneggiamenti. Tutto da inquadrare nel rispetto del precedente e della collettività.

Mi scuso per la lunghezza dell’ articolo, ma avevo a cuore questo tema. Per sdrammatizzare, vi lascio con questa vignetta.





Assignment 5: “smanettando” con PubMed

15 04 2009

Frequentando la facoltà di Medicina, è ovvio che avevo già sentito parlare di questo sito, ma non avevo idea della quantità di informazioni che esso potesse offrire. Io non ho mai letto un libretto di istruzioni, e di certo non ho iniziato con questo assignment… e devo dire che non ho trovato una gran difficoltà nell’ utilizzo di questa banca dati.

Ma ora veniamo all’assignment vero e proprio. All’inizio non sapevo cosa cercare, quindi, improvvisando un po’ di inglese, ho digitato parole abbastanza generiche che mi hanno dato un panorama troppo vasto di risultati: “allergy” (282.396 risultati in 14.120 pagine) e “cancer metastasis” (173.469 risultati in 8.674 pagine). Quindi ho capito che non era il modo giusto di impostare una ricerca.

Mi sono focalizzato allora su una malattia in particolare, la “sindrome metabolica”, che comprende un insieme di disfunzioni spesso legate allo stile di vita dell’ individuo. In realtà mi sono incentrato su questa malattia perchè ne ho sentito abbastanza parlare (senza comprenderla pienamente), visto che una delle principali cause è l’obesità (mia madre è biologo nutrizionista!).

Digitando “metabolic syndrome” mi sono usciti fuori 26.347 risultati, sempre troppi. Allora ho cliccato sui suggerimenti ch appaiono sulla destra e, alla fine, cercando “obesity metabolic syndrome children” ho trovato 767 risultati, tanti ma non troppi.

Scorrendo tra i risultati sono stato subito incuriosito da un titolo, “The not-so-sweet side of  fructose” che, a sua volta, mi ha rimandato ad un altro articolo, “Fructose and the metadolic syndrome: pathphisiology and molecular mechanisms” della University of Toronto. Cito le prime due frasi:

Emerging evidence suggests that increased dietary consumption of fructose in Western society may be a potentially important factor in the growing rates of obesity and the metabolic syndrome. This review will discuss fructose-induced perturbations in cell signaling and inflammatory cascades in insulin-sensitive tissues.

Altro risultato molto interessante è quest’articolo, “Cardiovascular risks associated with obesity in children and adolescents”, di cui consiglio la lettura.

Concludendo, posso confermare l’ estrema utilità di avere globalmente a portata di mano un database quasi infinito di informazioni, utili affinchè il sapere e la conoscenza non rimanga confinato in studioli individuali ma possa essere sfruttata da tutti ed abbia la possibilitò di evolversi.